Le testimonianze artistiche

  • Manufatti islamici a Genova
  • L'influenza islamica sull'arte genovese
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    Introduzione

    Genova e la cultura islamica
    Gli avori

    Conclusione

    Bibliografia
    Ringraziamenti

    Prove tangibili del legame fra Genova e i popoli musulmani sono i manufatti artistici che dalle terre islamiche arrivavano nella città ligure, a testimonianza di un commercio che coinvolgeva tutto il Mediterraneo, orientale e occidentale.
    Tra il X e il XIII secolo ceramiche islamiche provenienti dal Meridione italiano, dalla Spagna e dal Maghreb giungevano nell'Italia settentrionale passando dai porti liguri. Se tracce consistenti di questo commercio si trovano in territorio savonese, per esempio nei bacini murati nella chiesa di San Paragorio a Noli o negli scavi archeologici nella fortezza del Priamar, alcune esigue, ma mirabili testimonianze sono state rinvenute anche nella cattedrale di San Lorenzo a Genova, in alcuni micro-reimpieghi nei mosaici della lunetta maggiore. Nella parte in basso a destra, nella corona tenuta in mano da un angelo eseguito a graffito, si è potuta notare una tessera con una testa umana dipinta sopra l'invetriatura. Identificata da Alexandre Gardini come un frammento di ceramica mina'i, prodotta nella Persia selgiuchide fra il XII e XIII secolo, è ritenuto l'unico esempio di questa classe di manufatti reperita finora in Liguria e probabilmente in Italia. [1] Questo non è nemmeno l'unico manufatto proveniente da Oriente reimpiegato per decorare i mosaici della lunetta: va ricordato ad esempio un frammento vitreo che deriva da un vaso, ritenuto identico a quello rinvenuto dagli archeologi nell'area di S. Silvestro: ovvero una coppa in vetro viola, di probabile origine bizantina, con raffinate decorazioni in oro a croci intrecciate. Sempre da scavi archeologi deriva anche il frammento di un bicchiere di produzione islamica, sparuta testimonianza di una diffusione che, al contrario, non doveva essere infrequente. [2] Se, per apprezzare la circolazione della ceramica islamica a Genova, oggi disponiamo solo di frammenti utilizzati come tessere di mosaico e reperti derivati da scavi archeologici, va ricordato l'esteso uso di bacini e piastrelle di origine islamica per decorare le chiese liguri, come il campanile di Sant'Agostino, che fino al restauro eseguito ngli anni Venti presentava ancora le originarie piastrelle spagnole. [3]

    È ancora la Cattedrale genovese a custodire, ma questa volta nel Museo del Tesoro, uno dei più significativi manufatti di arte vetraria orientale giunti in Occidente: il bacino esagonale di vetro verde conosciuto come Sacro Catino, che leggenda vuole trasportato dalla Terrasanta a Genova da Guglielmo Embriaco come reliquia dell'Ultima Cena. Ritenuto un tempo manufatto romano o bizantino, studi più recenti lo collocano nell'arte islamica del IX – X secolo. [4]
    Ci dobbiamo spostare in un'altra chiesa genovese per trovare un'altra interessante testimonianza proveniente dai territori musulmani. A Santa Maria di Castello nel 1859, grazie alla rimozione degli intonaci, furono scoperte due epigrafi marmoree, usate come ornamento nelle pareti della navata maggiore, murate fra gli archi; l'una è illeggibile perché scalfita e l'altra, capovolta, riporta in caratteri cufici i versetti 187-188 della sura III del Corano ed è probabilmente un'iscrizione sepolcrale dell' XI secolo proveniente dall'Africa settentrionale. Augusta Silva le ritiene frutto dei bottini ricavati con la presa di Mahdia o di Ceuta. [5]
    Ormai perdute sono invece le porte bronzee che, secondo i Castigatissimi Annali di Agostino Giustiniani, fecero parte del bottino della conquista di Almeria e che furono reimpiegate nella chiesa di San Giorgio. Già il vescovo annalista non poté ammirarle, ignorando oltrettutto il motivo della loro rimozione, ma riporta l'informazione della loro esistenza grazie ad una lapide marmorea che le ricordava. Infissa nelle pareti della chiesa ancora all'epoca del Giustiniani, la lapide è ormai andata perduta. L'annalista genovese poté inoltre vedere un altro oggetto proveniente dallo stesso bottino: un grande lampadario collocato nella Cappella di San Giovanni Battista in San Lorenzo. Il lampadario, che il Giustiniani descriveva dalle “più lampade di bellettissimo & suttilissimo lauro moresco”, venne rubato nel 1693 come ci informa Francesco Maria Accinelli, erudito del XVIII secolo, che lo definisce un “lampadario grande, di lavoro moresco antico con lettere arabesche”. [6]

    1. A. Gardini, Ceramiche d'importazione dall'area mediterranea e produzioni locali a Genova nei secoli XII-XIII, in Produzione e circolazione delle ceramiche invetriate al tempo delle Crociate (XII-XII secolo), Atti del Convegno (Ravello, 1991). Torna su
    2. Idem, in Genova, la Liguria, il Mediterraneo, catalogo della mostra, Genova 1985, p. 21; S. Fossati, T. Mannoni, Lo scavo della vestreria medievale di Monte Lecco in “Archeologia Medievale”, II, 1975, pp.31-97. Torna su
    3. F. Marzinot, Ceramica e ceramisti in Liguria, Genova 1979. Torna su
    4. T. E. Haevernick, Zu einigen Gläsern in Kirchenschatzen, in “Trierer Zeitschrift für Geschichte und Kunst des Trieres Landes und seiner Nachbargebiete”, XXXVI, 1973, pp. 113-116. Torna su
    5. A. Silva Corpus inscriptionum Medii Aevi Liguriae. III. Genova Centro Storico, Genova 1987, pp. 61-62, n. 108. Torna su
    6. A. Giustianiani, Castigatissimi Annali con la loro copiosa tavola della Eccelsa et Illustrissima Repubblica di Genova, Genova 1537, p. XLv; F. M. Accinelli, Stato presente della Metropolitana di Genova, di tutte le parrocchie tanto in città che nella diocesi, Archivio Storico del Comune di Genova, ms. 1138, sec. XVIII. c. 87.

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